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Il mal di Natale: una promessa di felicità non mantenuta

Il Natale, la festa più attesa dell’anno, non sembra suscitare solo buoni sentimenti: basta pensare all’ansia per gli incontri indesiderati, ai bilanci dell’anno trascorso o alle promesse mancate. Questa festa è annoverata nella categoria degli eventi stressanti per il tipo di emozioni che frequentemente evoca. Già descritto nel 1981 da J.R. Hillard, il cosiddetto Christmas Effect, ciò che fa registrare un aumento dei ricoveri e delle richieste di aiuto per motivi psicopatologici nei giorni immediatamente successivi alla festa. In un celebre studio del 1999, Robert Kloner, un cardiologo americano, ha coniato il termine Merry Christmas Coronary (1) per definire il fenomeno secondo il quale si registra una maggior incidenza di malattie cardiovascolari in coincidenza con queste festività. Secondo Kloner un fattore determinante è lo stress emotivo, dovuto, ad esempio, alle interazioni spiacevoli con i familiari, all’ansia per gli incontri indesiderati o al dover fare un bilancio dell’anno trascorso. Statistiche più recenti del centro di ricerca sui suicidi di Oxford hanno rilevato che nel Regno Unito si registra un picco di suicidi nei giorni successivi alle festività, soprattutto se ne evidenzia un aumento del cento per cento il primo giorno dell’anno. Il problema, dunque, non è solo l’eccesso di cibo o lo stress dei regali da acquistare. E’ qualcosa di più profondo, che ha a che fare soprattutto con le aspettative tradite, con le promesse mancate, con i rimpianti per un’infanzia perduta o con l’obbligo di dimostrarsi felici, a tutti i costi.

Il disagio è palpabile, si percepisce per le strade affollate, nei negozi, nei supermercati, nelle tavolate familiari, dove una patina di buona educazione non basta a mantenere sereni gli animi. E soprattutto si sente il giorno dopo, quando ci risvegliamo con gli avanzi di cibo da finire e le carte regalo da buttare via. Quante volte ci capita di sentire la frase “e anche per quest’anno fortunatamente il Natale è passato!”.

Il Natale rappresenta un appuntamento obbligato, non è una ricorrenza che possiamo ignorare come il nostro compleanno, sembra essere una festa irrinunciabile. Poche altre festività cambiano l’aspetto delle nostre città in questo modo: si decorano le case e le strade, si va in vacanza, si organizzano pranzi e feste. Si tratta di una ricorrenza planetaria, e oggi di un business planetario: la cerimonia dello scambio dei regali, ormai trasformata in un’operazione di marketing, ha perso la purezza dell’elargizione senza corrispettivo simboleggiata dai doni dei Magi.

Il Natale, che celebra la nascita di Gesù, oltre ad essere un’occasione per trascorrere del tempo con le persone a noi care, potrebbe essere un momento per celebrare il bambino che c’è in ognuno di noi: questo aspetto viene quasi sempre tralasciato o non goduto pienamente, per lasciare campo libero ad emozioni negative, come il rimpianto per chi non c’è più o l’ansia e la frustrazione per l’inevitabile bilancio dell’anno trascorso. Per la sua cadenza ciclica, il Natale aumenta in noi la percezione del tempo che passa ed ecco che riemergono più ricordi dal passato, a volte molto dolorosi.

Sembra quasi obbligatorio partecipare a questa ritualità collettiva, al punto tale che rimanerne fuori comporta il rischio di una condanna all’isolamento sociale, pare che non sia possibile festeggiarlo in maniera intima e stare da soli ci risulta ancora più insopportabile rispetto ad altri periodi dell’anno.

Il “mal di Natale” si riscontra spesso nella pratica clinica, si manifesta in forme diverse, che possono essere ricondotte ad alcuni elementi centrali, come, ad esempio, la sofferenza legata al sentirsi esclusi da un nucleo familiare che non esiste più. Altre volte il conflitto psicologico nasce dalla nostalgia per l’esperienza infantile spesso vissuta in modo idealizzato, o dal rimpianto per le speranze che non si sono tradotte in realtà. E’ questa la “temuta promessa” di cui di cui parla Shengold in un articolo apparso nel 2007 su “Psychoanalytic Quarterly”: una promessa di cambiamento, di rinnovato benessere non mantenuta che può innescare una spirale di malessere difficile da superare.

L’avvicinarsi delle feste potrebbe far riemergere frustrazioni vissute durante l’infanzia o il senso di essere stati privati di qualcosa, come l’affetto, i doni, le attenzioni, o fa riemergere il ricordo di un’infanzia felice che abbiamo perduto.

“Queste reazioni possono avere a che fare con la nostra natura intrinsecamente nevrotica – spiega Shengold – riconducibili al retaggio di un’infanzia dolorosa che non ci permette di accogliere questa continua promessa di felicità ”.

I festeggiamenti invernali sono legati a tradizioni ben più antiche del Natale cristiano: basti pensare ai Saturnalia con cui i romani festeggiavano il solstizio d’inverno. Ci sono festeggiamenti in questo periodo dell’anno che portano con sé anche un carico di ambiguità, basta pensare all’accostamento tra la ricorrenza dei defunti e quella di Ognissanti che accade nel mese di novembre. In molte tradizioni popolari sono proprio i defunti a portare i regali ai bambini, e alcuni elementi delle celebrazioni natalizie rievocano una relazione con l’aldilà. Per quanto riguarda la tradizione dei doni, una leggenda narra che l’antenato “storico” di Babbo Natale, San Nicola, avrebbe regalato a tre povere fanciulle una dote in monete d’oro per evitare che il padre le avviasse alla prostituzione. Il Natale dei cristiani celebra, dunque, la vita, ma le più antiche festività celebrate in questo periodo si riferivano alla relazione tra il mondo dei vivi e l’oltretomba.

Passiamo ora al capodanno. Un articolo pubblicato su La Repubblica del 31 dicembre 2016 ha attirato la mia attenzione. Il titolo dell’articolo è “L’anti-capodanno nella notte di Bali: purificarsi nel silenzio”. L’articolo descrive com’è celebrato il capodanno a Bali, cioè in modo esattamente contrario rispetto a come è vissuta da noi la notte di San Silvestro, che è tutta rumore e colore, balli e sballi, allegria ostentata e divertimento obbligato. A Bali, l’ultimo giorno dell’anno sono vietati i botti, le luminarie, la musica, le feste e i brindisi, i baci e gli abbracci. E’ proibito uscire di casa e dagli alberghi. “Un esorcismo di massa – scrive il giornalista Marino Niola – che ha come scopo principale quello di mettere una pietra sull’anno che se ne va”. I balinesi chiamano questo rituale collettivo Nyepi ovvero la festa dei quattro divieti. Il primo è Amati geni, ovvero la proibizione per 24 ore di accendere fuochi e luci, comprese quelle elettriche (con la sola eccezione degli ospedali e di alcuni alberghi). Il secondo e il terzo divieto riguardano gli spostamenti (Amati lelungan) e le attività lavorative e ricreative (Amati karya). Tutto è interrotto per dare spazio alla meditazione. L’ultima proibizione è Amati lelangunan e riguarda qualsiasi forma di intrattenimento. E’ vietato divertirsi e soprattutto mostrare gioia. I balinesi più rigidi rinunciano anche alla parola (è consentito solo farsi gli auguri al telefono) e al cibo.

In questo giorno tutti devono staccare la spina, induisti e mussulmani, cristiani e buddisti, laici compresi. Lo scopo del rituale ingannare le potenze maligne: secondo le credenze popolari proprio a capodanno esse presentano il conto agli uomini, ma non vedendo nessuno in giro e trovando le città e i villaggi disabitati, se ne andranno senza fare danni. Una specie di gioco a nascondino che coinvolge anche numerosissimi turisti. Si tratta di una misura di ordine spirituale, ma al tempo stesso anche di ordine pubblico e politico. Il governatore di Bali I Made Mangku Pastikaha dichiarato che il Nyepi è un’occasione per liberare la propria anima dagli eccessi, che rendono tutti più aggressivi, egoisti e crudeli. Ciascuno è chiamato a fare il vuoto dentro di sé per concentrarsi e meditare. I balinesi, dunque, si sottraggono allo scontro in campo aperto con i demoni, contrariamente a noi, che al giro di boa del calendario dichiariamo guerra al male, esorcizzando con fuoco e fiamme, luci e frastuono, i fantasmi del nostro scontento. Il nostro è un capodanno che ci carica di energia e di buoni propositi, ma è anche una macchina di felicità programmata, che ci carica di aspettative che spesso non vengono soddisfatte.

 

1. The “Merry Christmas Coronary” and “Happy New Year Heart Attack” Phenomenon 

RA Kloner. Circulation 110 (25), 3744-3745. 2004 Dec 21.

2. The Christmas Effect on Psychopathology

Randy A. Sansone, MD and Lori A. Sansone, MD Innov Clin Neurosci. 2011 Dec; 8(12): 10–13.

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