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DISTURBI ALIMENTARI E OBESITà

È in aumento esponenziale l’esercito di persone che vive il cibo con disagio. Voracità nell’alimentazione, ma anche propensione coatta alla restrizione o all’espulsione. Chi ne soffre si riduce a vivere in balia di un’altalena dell’autostima che distrugge psichicamente e fisicamente. Perchè questa insoddisfazione? Da dove nasce? Come recuperare un rapporto autentico con il proprio corpo?

Nel corso degli ultimi decenni si sono susseguite diverse teorie esplicative dell’eziopatogenesi dei disturbi alimentari, senza che nessuna di esse potesse ritenersi conclusiva. Si sono così succedute, a seconda dei modelli di riferimento, ipotesi psicologiche, ipotesi psichiatriche, psicobiologiche e socioculturali, tuttavia, nessuno dei singoli modelli interpretativi sembra in grado di esercitare un potere esplicativo e comprensivo esauriente della svariata gamma dei disturbi dell’alimentazione. Il modello bio-psico-sociale sembra quello che abbraccia di più la complessità causale dei disturbi dell’alimentazione. In esso si postula che fattori di ordine biologico, genetico, psicologico e psicopatologico, traumatico, familiare e, infine, fattori di tipo socio-culturale costituiscano, se pur con pesi differenti, la matrice causale predisponente ad uno stato di insoddisfazione che genera nel soggetto un’esasperata preoccupazione nei confronti del cibo e del peso corporeo.

La tendenza a giudicare il proprio valore in modo predominante o esclusivo in termini di peso, forma del corpo e di capacità di controllo sull’alimentazione, è di primaria importanza nel mantenimento di tutti i disturbi dell’alimentazione. La maggior parte delle altre caratteristiche cliniche deriva, direttamente o indirettamente, da questo nucleo psicopatologico. L’episodio di abbuffata sembra l’unico comportamento non direttamente legato,appunto, all’eccessiva valutazione del peso, della forma del corpo e del controllo dell’alimentazione. Presente in un sottogruppo di persone affette da disturbi dell’alimentazione, sembra essere la conseguenza di una ferrea restrizione calorica, o, in taluni casi, il tentativo di modulare eventi e cambiamenti emotivi.

In una prospettiva longitudinale, i sintomi dei disturbi alimentari si comportano come insidiosi virus mutanti, esibendo una veloce capacità di adattamento alle esigenze psichiche che si alternano in una stessa persona, tanto che, nel 50% dei casi, nell’arco patologico di uno stesso individuo, passano dall’anoressia, alla bulimia, all’alimentazione incontrollata, sviluppandosi lungo un continuum fenomenologico, lungo il quale si manifestano le varianti del rapporto malato con il proprio corpo.

Partendo dal presupposto che esiste una soggettiva e personale rappresentazione mentale del nostro corpo, essa è coinvolta nel determinare l’autostima dell’individuo. Se l’immagine di sé è troppo lontana dal proprio ideale corporeo, ciò ha come effetto l’insoddisfazione, la non accettazione: il corpo diventa, dunque, un nemico da combattere, attraverso diete e attività fisico incessante. Il senso di inadeguatezza e di insoddisfazione crescente conduce ai casi più gravi di dismorfismo corporeo, ovvero ad una sensazione soggettiva di deformità, legata alla convinzione di essere giudicati dagli altri in base a ciò che riteniamo gravi imperfezioni, che ci rendono diversi e inferiori. Le persone affette da disturbi alimentari riportano, frequentemente, che un calo di peso aumenta il loro senso di controllo, la fiducia personale e l’autostima. Il successo o il fallimento nel monitoraggio e nella gestione del peso, diviene il simbolo della capacità di dominare la propria vita. In persone che presentano questo disturbo si riconosce facilmente uno «schema di pensiero dicotomico», che prevede un’alternanza di eccessi e privazioni: in alcuni periodi la persona riesce a tenere sotto controllo la quantità di cibo ingerita, ma, appena devia dal percorso intrapreso, si lascia andare all’altro eccesso, quello dell’iperfagia compulsiva.

Spesso le persone che presentano problematiche inerenti al cibo, presentano con una spiccata instabilità emotiva, incapaci a sopportare la solitudine, i sentimenti di noia e di vuoto. Molti, per paura del contatto con l’altro, fuggono da ogni attaccamento intimo, sono ipersensibili al rifiuto, pur essendo alla perpetua ricerca di approvazione ed amore. Emerge, molto frequentemente, la difficoltà a codificare stati fisici interni come appartenenti ad un’emozione: risulta per loro difficile discernere il “cosa provo?”o il “cosa sento?”.

Essi sembrano non riuscire a portare a pensabilità emozioni e sentimenti come la rabbia, il conflitto, il desiderio, che vengono “agiti” senza riconoscerli. Inoltre il funzionamento psichico che ho riscontrato maggiormente è quello del “tutto o nulla”.

Di seguito alcune caratteristiche comuni alle persone che soffrono di disturbi alimentari, obesità compresa:

– Deficit nell’elaborazione e nella regolazione emotiva, incapacità a codificare gli stati interni, compresa la capacità di sentire se si è sazi o meno dopo aver mangiato

– Ideale di perfezione dell’io, ma convinzione che l’io reale sia molto lontano da quello ideale, quindi tendenza al giudizio negativo di sé.

– Senso di inadeguatezza, di non amabilità, di incapacità e di mancanza di valore personale.

– Vissuto di vuoto dovuto a un deficit dell’identità personale (senso di identità fortemente compromesso)

– Vissuto di congelamento esistenziale in attesa del dimagrimento

– Estrema preoccupazione per il peso e il corpo, unici riferimenti personali per capire quanto si vale

– Elevata paura di essere criticati, giudicati e di sbagliare: l’agire o il programmare le cose sono fortemente influenzati dalle aspettative e dai giudizi degli altri

– Sentimenti di rabbia e aggressività avvertiti come intollerabili, quindi negati

– Percezione del proprio corpo come parte irrazionale, sporca, che tradisce che manca di autocontrollo rispetto alla mente

– Preoccupazione costante di essere abbandonati. Intolleranza verso le separazioni. Ne conseguono atteggiamenti di compiacenza e atteggiamenti volti a ingraziarsi le persone

– Sentimenti di fallimento, vergogna ed elevata presenza di sensi di colpa

– Pensieri intrusivi ricorrenti e rimuginii

– Vissuto di invasione

– Isolamento sociale e sentimento di non appartenenza ad alcun gruppo o comunità

– Attenzione pervasiva verso aspetti negativi della vita, mentre gli aspetti positivi o ottimistici vengono mimetizzati o trascurati

– Scarsa autonomia di fronte a nuovi adattamenti, vissuti con paura e disagio

DISTURBI ALIMENTARI:

Anoressia

Il termine anoressia deriva dal greco “anorexia” e significa letteralmente “mancanza di appetito”. Verrebbe da pensare che questa definizione non sia del tutto appropriata, in quanto il nodo centrale dell’anoressia nervosa non è il fatto di non sentire la fame (che anzi spesso è solo negata), ma un desiderio patologico di essere magre.

Le persone che soffrono di anoressia nervosa hanno pensieri e preoccupazioni costantemente rivolti al controllo del cibo e del corpo. Spesso hanno ‘fama’ di essere persone dure e determinate, ma in realtà hanno molte paure e ansie. L’anoressia nervosa dà l’illusione di essere una via d’uscita, un modo di controllare proprio queste paure. La polarizzazione dei pensieri sulle problematiche relative al cibo e al corpo rende le persone meno sensibili agli aspetti emotivi, a scapito però della capacità di entrare in contatto con gli altri e di godere delle emozioni positive.

Molti sono i rituali che accompagnano le preoccupazioni riguardo al controllo del corpo e dell’assunzione di cibo. Alcune pazienti contano le calorie di tutto quello che mangiano, mentre altre preparano sofisticate ricette non per sé ma per i familiari. In alcuni casi vengono messi in atto dei veri e propri “rituali” come impiegare tantissimo tempo per mangiare anche piccole quantità di cibo, sminuzzare il cibo in tante piccolissime parti, accumularlo o nasconderlo, oppure mangiare solo determinati alimenti cucinati in un modo particolare.

Le persone che soffrono di anoressia nervosa nonostante la magrezza evidente, sono incapaci di vedersi magre o comunque hanno un’immagine corporea alterata. Anche la loro autostima è strettamente legata al peso e alla forma del corpo: la perdita di peso è considerata una conquista ottenuta grazie all’autodisciplina e al rigido controllo.

Alcune caratteristiche psicologiche frequentemente descritte nei pazienti con anoressia nervosa sono:

– depressione

– perfezionismo

– bassa autostima

– difficoltà interpersonali

– paura di crescere

L’abuso di diete restrittive è tra i fattori responsabili dell’insorgenza di comportamenti alimentari abnormi e la diffusione delle diete estetiche è una delle cause del grande aumento dei disturbi dell’alimentazione.

L’anoressia nervosa, come molte altre patologie diffuse essenzialmente nelle cosiddette “società del benessere”, è purtroppo una malattia complessa, subdola e difficile da trattare. Complessa in quanto origina dall’interazione di diversi fattori: genetici, biologici, psicologici e micro- e macro-sociali che concorrono con ruoli diversi nella genesi e nella perpetuazione della patologia. L’anoressia nasce come disturbo che affonda le sue radici nella psiche, ma che genera una sequela di problemi organici gravi e pericolosi che, a loro volta, si ripercuotono nuovamente sulla psiche.

Criteri diagnostici principali dell’Anoressia Nervosa

A. Restrizione dell’apporto energetico rispetto al necessario, che conduce a un peso corporeo significativamente basso tenendo conto dell’età, del sesso, della traiettoria evolutiva e dello stato di salute fisica. Si intende per peso significativamente basso un peso che è inferiore al minimo normale o, per i bambini e gli adolescenti, inferiore a quello minimo atteso

B. Intensa paura di acquistare peso o di diventare grasso, o comportamento persistente che interferisce con l’aumento di peso, anche in presenza di un peso significativamente basso

C. Alterazione del modo in cui il soggetto vive il proprio peso o la forma del proprio corpo, eccessiva influenza del peso o della forma del corpo sui livelli di autostima, o persistente rifiuto di ammettere la gravità della attuale condizione di sottopeso

D. Attualmente la diagnosi di anoressia nervosa non richiede più l’assenza del ciclo mestruale.

Molti studi in proposito sono stati effettuati elencando le varie possibili manifestazioni psichiatriche correlate all’anoressia che sono la depressione, l’ansia, i disturbi della personalità, il disturbo ossessivo-compulsivo.Per quanto riguarda l’espressione della rabbia e dell’aggressività diretta verso gli altri, la mancanza di tale fattore è proprio una caratteristica che contraddistingue l’anoressia nervosa dalla bulimia nervosa.

Binge Eating Disorder

Se date un morso al coniglio di cioccolata, lui potrebbe restituirvelo…

Lavoravo in uno studio nella zona del grattacielo Flatiron, a New York, pesavo 140 chili. Un pomeriggio la responsabile per i media entrò improvvisamente nell’ufficio..” un cliente mi ha mandato un coniglio di cioccolata gigantesco” annunciò. “Se qualcuno ne vuole un pezzo, si serva pure. E’ sulla mia scrivania”.E io? Cominciai a ordire un piano di battaglia. Nove etti di cioccolato compatto, se ne stava seduto tutto solo al centro della scrivania, e mi sorrideva. Sgattaiolai nella stanza deserta, scelsi con cura una briciola di cioccolato che era caduta da una zampa del coniglio e me la misi sulla lingua. Era squisito. Con una fitta di senso di colpa, allungai svogliatamente una mano e staccai un orecchio. Ancora prima di smettere di masticare, capii che avevo bisogno di mangiarne un altro pezzo. “Mi vuoi soltanto per il mio cioccolato”, disse una voce alle mie spalle. Era un problema perchè, nel momento in cui il primo pezzo di cioccolato si era sciolto sulla mia lingua, si era scatenata dentro di me una reazione che non potevo controllare. Non mi sarei sentito soddisfatto finchè tutti i nove etti del coniglio di cioccolato fossero stati nella mia pancia. Al termine della giornata, la responsabile per i media passò dal nostro ufficio….Le sue ultime parole: “Non riesco a credere che il coniglio abbia avuto tanto successo. E’ quasi finito!

Liberamente tratto da “Fame” di Allen Zadoff

Nell’ultimo decennio, nella classificazione dei disturbi alimentari, il “disturbo da alimentazione incontrollata” (in inglese, “Binge Eating Disordero BED) ha suscitato un interesse crescente per i suoi legami, importanti, con l’obesità e data l’importanza e la diffusione di questa forma di disagio.

Chi ne soffre fa ricorrenti abbuffate:

Un’abbuffata è caratterizzata da entrambi gli aspetti seguenti:

– mangiare,in un periodo definito di tempo (ad esempio, un periodo di due ore) una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo ed in circostanze simili

– sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (ad esempio, sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o di non controllare cosa o quanto si sta mangiando)

Le abbuffate sono associate con tre (o più) dei seguenti aspetti:

– mangiare molto più rapidamente del normale

– mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni

– mangiare grandi quantità di cibo quando non ci si sente fisicamente affamati.

– mangiare da soli perché ci si sente imbarazzati dalla quantità di cibo che si sta mangiando

– sentirsi disgustati da se stessi, depressi o assai in colpa dopo l’abbuffata.

Dal punto di vista clinico l’abbuffata si può presentare sotto forma di singole crisi che si ripetono più volte nel corso della giornata, o può durare un giorno intero dopo il quale si susseguono giornate in cui l’alimentazione è normale o ridotta.

I cibi che vengono ricercati, durante gli episodi di abbuffata, sono prevalentemente ad alto contenuto di grassi e zuccheri. In genere vengono preferiti proprio quegli alimenti che il soggetto di norma non si concede perché li ritiene “pericolosi” da un punto di vista calorico.

Il comportamento compulsivo è caratterizzato dal vissuto di “perdita di controllo sul cibo” ; questa caratteristica viene adottata come principale strumento di analisi differenziale tra abbuffata compulsiva, sovrabbondante alimentazione o semplice indulgenza.

La più importante peculiarità comportamentale dei soggetti con BED è la presenza di episodi di abbuffate frequenti. Si tratta di una caratteristica simile alla bulimia nervosa, dalla quale si differisce per la mancanza di comportamenti di compenso sistematici ( vomito autoindotto, l’uso di lassativi e diuretici, l’esercizio fisico eccessivo,…), messi in atto per bilanciare l’eccesso calorico introdotto con le abbuffate. Per questa ragione il BED si correla molto frequentemente con il sovrappeso. Alcune ricerche indicano che in pazienti con diagnosi di obesità circa il 30% sono da inserire tra BED, e questa è la ragione per cui molto spesso i pazienti con queste patologie si rivolgono a professionisti per la cura del sovrappeso, invece che a centri specialistici per il trattamento di disturbi alimentari.

Questo aspetto presenta importanti implicazioni per il trattamento: l’obesità si cura con la perdita peso e la restrizione alimentare rinforza l’abbuffata compulsiva perché è uno dei più potenti meccanismi che fa aumentare il rinforzo positivo del cibo. Lo stare a dieta, dunque, induce un senso di deprivazione, che può essere avvertito sia dal punto di vista fisiologico, sia dal punto di vista cognitivo che può dare inizio al fenomeno dell’abbuffata.

La vita delle persone affette da questo disturbo è caratterizzata da periodi in cui perdono il controllo sulla loro alimentazione e altri in cui, invece, tendono a stare a dieta ferrea, nel tentativo di correggere i danni derivanti dalla fase di perdita del controllo. In sostanza si tratta di persone che negli ultimi anni della loro vita, in maniera netta, o erano a dieta o perdevano del tutto il controllo, senza una via di mezzo. In queste persone sono più frequenti disturbi d’ansia, d’umore, di personalità e depressione, fortemente influenzati dalla frequenza degli episodi di alimentazione compulsiva.

Bulimia

La Bulimia Nervosa (che etimologicamente significa “fame da bue”) si caratterizza per la presenza di crisi bulimiche (o “abbuffate”) a cui seguono comportamenti di compensazione per cercare di evitare di metabolizzare il cibo e aumentare di peso (vomito autoindotto, utilizzo di  lassativi e diuretici, digiuni e esercizio fisico eccessivo, etc). Le crisi bulimiche sono episodi in cui una persona ingerisce, spesso senza sentirne il sapore, grandi quantità di cibo perdendo letteralmente il controllo sul suo comportamento alimentare. Una crisi bulimica ha generalmente una durata limitata nel tempo, ma alcune persone che soffrono di questo disturbo possono averne molte nell’arco delle stessa giornata. Di solito vengono ingeriti cibi che la persona non si concede abitualmente con una preferenza per i dolci ed i cibi ad alto contenuto calorico o di grassi. Alcune persone possono perdere talmente il controllo sulla propria alimentazione da ingerire cibi avariati, crudi, o miscugli di qualsiasi composizione.

L’esordio della bulimia nervosa si verifica di solito in seguito ad una dieta ipocalorica o ad un rapido dimagrimento (che può anche essere un episodio di anoressia nervosa) a volte associati ad eventi stressanti o ad un vero e proprio trauma emotivo. Se all’inizio la crisi bulimica può essere saltuaria o occasionale col passare del tempo può diventare una compulsione a cui è difficile sottrarsi.

Nelle persone che soffrono di bulimia nervosa, l’attenzione e l’insoddisfazione nei confronti del propriocorpo e dell’aspetto fisico può assumere un’importanza eccessiva ed assoluta. La stima di sé è fortemente legata al corpo e ogni modificazione fisica può essere vissuta come una frustrazione e come una perdita di controllo sul proprio corpo.

Le conseguenze emotive di una crisi bulimica possono essere diverse; in alcuni casi le persone riferiscono di provare un temporaneo sollievo e senso di piacere. Gli studi mostrano un effetto delle crisi bulimiche nella regolazione degli stati emotivi negativi, che spiegherebbe in parte la ‘dipendenza’ dal cibo in chi soffre di questo disturbo. Come nella maggior parte dei disturbi alimentari in cui compaiono le abbuffate, di solito questi effetti “positivi” sono ben presto sostituiti da una profonda angoscia per la possibilità di ingrassare e perché non si è stati capaci di controllarsi. I metodi di compensazione, soprattutto il vomito, possono dare la temporanea sensazione di alleviare l’ansia, ma dopo può comparire un senso di vuoto che può innescare una nuova abbuffata. Il vomito, in particolare, ha anche un ruolo ‘fisiologico’ nel rischio di avere ulteriori crisi bulimiche: l’aumento dell’insulina e l’ipoglicemia che segue gli episodi di vomito possono infatti determinare un aumento della fame e innescare una nuova crisi bulimica. Il vomito ripetuto, inoltre, secondo alcuni studi, determinerebbe una diminuzione del metabolismo basale.
Un sentimento quasi sempre presente è quello della vergogna e della colpa. Ed è per questo che spesso la malattia viene nascosta ai familiari e agli amici il più a lungo possibile e in molti casi la richiesta di aiuto viene fatta dopo molto tempo che il disturbo è cominciato.
La bulimia nervosa non stravolge solo i comportamenti alimentari, ma anche altre aree importanti della vita della persona. Può capitare di rinunciare alle situazioni sociali che comportano lo stare a tavola con gli altri, oppure di diventare ansiosi e irritabili.

La bulimia nervosa spesso è associata con altri disturbi psichici come la depressione, l’abuso di sostanze, i disturbi d’ansia (in particolare fobia sociale, disturbo ossessivo compulsivo, disturbo di panico) e i disturbi di personalità. Non è infrequente la presenza di comportamenti autoaggressivi come tentativi di suicidio o atti autolesionistici.

Le principali caratteristiche psicologiche associate alla bulimia nervosa sono:

– Perfezionismo
– Pensiero tutto o nulla
– Bassa autostima
– Impulsività

Criteri diagnostici della bulimia nervosa

A. Ricorrenti crisi bulimiche. Una crisi bulimica è caratterizzata da entrambi gli aspetti seguenti:

  1. Mangiare, in un periodo definito di tempo (es. un periodo di 2 ore), una quantità di cibo significativamente maggiore di quella che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo e in circostanze simili
  2. Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (es. sensazione di non riuscire a smettere di mangiare o di non controllare che cosa o quanto si sta mangiando)

B. Ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici o altri farmaci, digiuno o esercizio fisico eccessivo

C. Le abbuffate e le condotte compensatorie inappropriate si verificano entrambe in media almeno una volta a settimana per 3 mesi

D. I livelli di autostima sono inappropriatamente influenzati dalla forma e dal peso del corpo

E. Il disturbo non si manifesta esclusivamente nel corso di episodi di anoressia nervosa

Le complicanze fisiche che possono insorgere correlati a questo disturbo sono:

– disidratazione e ipopotassiemia causate dal vomito frequente

– squilibrio elettrolitico, che può portare a ritmi anomali del cuore, all’arresto cardiaco e persino alla morte

– esofagite o infiammazione dell’esofago

– trauma orale, in cui l’inserimento ripetitivo di dita o altri oggetti provoca lacerazioni al rivestimento della bocca o della gola

– erosione acida dello smalto dei denti

– reflusso gastroesofageo

– ghiandole ingrandite nel collo, sotto la linea della mascella

– calli e cicatrici (segno di Russell) sul dorso delle mani a causa di traumi ripetuti dagli incisivi

– costanti fluttuazioni nel peso corporeo

È frequente che uno stesso paziente entri ed esca tra varie categorie diagnostiche: molte anoressie evolvono in senso bulimico (più della metà); molti soggetti affetti da bulimia hanno sofferto in precedenza di un disturbo anoressico conclamato o, più spesso, parziale, breve, passato magari inosservato; in altri casi ancora si alternano nel tempo fasi anoressiche e fasi bulimiche. Comportamenti anoressici e bulimici si combinano fra loro e si succedono gli uni agli altri sia perché in entrambi la costruzione del sintomo passa attraverso il codice alimentare sia perché si instaura un circolo vizioso: restrizione prolungata dell’introito calorico → perdita di controllo sul cibo → senso di colpa e allarme → restrizione dell’introito calorico. Le diete drastiche, soprattutto se protratte e ripetute, producono due conseguenze: alterano il metabolismo con diminuzione del dispendio energetico di base e maggiore tendenza a ingrassare e inducono disturbi del comportamento alimentare, in particolare in senso bulimico: la restrizione favorisce la disinibizione e la perdita di controllo.

Disturbi alimentari nei Maschi

Fino a circa 20 anni fa il rapporto tra l’incidenza dei disordini alimentari negli uomini e nelle donne era pari a 1:10, 1:15; dati più recenti suggeriscono che questo rapporto sia arrivato almeno ad 1:4. Nel caso del disturbo da alimentazione incontrollata, la distanza si accorcia e il rapporto maschi e femmine diventa 3:4. È difficile non correlare questo fenomeno al fatto che le preoccupazioni per il corpo, per la forma fisica e per l’apparenza in genere, fino al secolo scorso prerogativa quasi esclusivamente femminile, riguardano adesso sempre più anche il mondo maschile. Già da alcuni anni, contestualmente a numerosi cambiamenti socio–antropologici, strutturali della nostra epoca, il peso e le forme corporee sono diventati oggetto di cura e fonte di numerose preoccupazioni anche per gli uomini. Si pone quindi il problema di un disturbo che gradualmente si allontana dall’essere un disturbo di genere e sempre più spesso si configura come un problema di identità, in questo caso maschile. Il picco di esordio nei disturbi alimentari maschili, anche se osserviamo un allargamento del range con esordi infantili ed in età adulta, rimane, soprattutto, l’età adolescenziale.

I recenti dati della ricerca sui disturbi alimentari nei maschi sembrano evidenziare una forte interrelazione tra ruolo di genere, orientamento sessuale e specifiche caratteristiche dell’insoddisfazione corporea maschile. Per decenni ricercatori e clinici hanno indagato se le differenze di prevalenza dei disturbi alimentari tra maschi e femmine fossero semplicemente correlate al sesso o a specifiche caratteristiche di ruolo di genere, che partecipano ai meccanismi di costruzione dell’identità personale e della regolazione emotiva. Gli studi su tratti d’identità di genere e disturbi alimentari nei maschi hanno evidenziato un quadro ancora più articolato se si considera l’orientamento sessuale: nella popolazione omosessuale maschile è presente una maggiore insoddisfazione corporea, una maggiore preoccupazione di ingrassare e una maggiore tendenza a intraprendere diete.

Nei disturbi alimentari maschili la focalizzazione sul corpo è più spesso caratterizzata da una ricerca ossessiva della muscolarizzazione, analoga alla ricerca di magrezza nella anoressia femminile. I maschi per migliorare il proprio aspetto fisico e cambiare la propria immagine tendono ad utilizzare soprattutto l’esercizio fisico (che assume aspetti di pratica ossessiva) finalizzato all’acquisizione di massa muscolare, associato a diete iperproteiche ed ipocaloriche e uso/abuso di integratori per ottenere massa muscolare magra. L’esercizio fisico ossessivo è anche il risultato di un altro disturbo caratterizzato da preoccupazioni su alcuni difetti particolari del corpo (dimorfismo corporeo). Nella letteratura relativa ai disturbi alimentari emerge come quella degli atleti sia una categoria a rischio per la loro insorgenza: il rischio sembra correlato al livello di competitività richiesto dall’ambiente sportivo. I disturbi alimentari maschili costituiscono quindi una nuova criticità all’interno di tali patologie. Questo sia per la difficoltà di una precisa diagnosi che alla strutturazione di un trattamento, spesso non richiesto dal paziente.

L’aumento della prevalenza ed incidenza di questi disturbi nel mondo maschile è strettamente collegato al difficile percorso della strutturazione dell’identità, in particolare nel periodo adolescenziale. Mode culturali pericolose riferite al corpo e all’alimentazione costituiscono fattori di rischio rilevanti e spiegano perché alcune categorie, in particolare all’interno di ambienti sportivi, non solo agonistici, creano un terreno fertile per l’espressività di un malessere identitario profondo. Un attento lavoro per consentire una diagnosi precoce del disturbo, accompagnato da campagne di prevenzione intensive ed estese, particolarmente nel mondo sportivo, costituiscono per la comunità scientifica indicazioni non più rimandabili.

Il ruolo della famiglia nei disturbi alimentari

La casa in cui predomina il principio del piacere, al contrario di quella in cui tutto viene regolato dal potere, è abitata da bambini sicuri di sé stessi, consapevoli della differenza tra verità e inganno e in grado di cooperare per favorire il piacere e la gioia. Ciò non vuol dire che questi bambini non mentano a volte…Per mantenere la fiducia e l’affetto che tengono unita la famiglia, le regole devono essere poche e devono mirare a favorire il piacere di tutti i suoi membri. L’uso delle punizioni e del potere e sono una chiara manifestazione dell’indebolimento della fiducia e dell’affetto e della diminuzione della cooperazione e del reciproco piacere. La menzogna non dovrebbe essere punita perché è lampante indicazione del bisogno di accrescere la fiducia.
A.Lowen, Il Piacere

Dalle storie di vita che ho raccolto nella mia esperienza clinica mi è capitato spesso di sentire racconti di persone con disturbi alimentari che da bambini non hanno potuto vivere liberamente il piacere del proprio corpo, la fame, il dolore, la scontentezza, poiché questi sentimenti risvegliavano ansie e dubbi nella madre. In questi casi spesso accade che i bambini imparano molto presto a “non sentire” per non mettere in gioco l’amore della madre.

Il comportamento riscontrato in chi soffre di disturbi alimentari e obesità spesso sottintende un’attitudine alla dipendenza messa in atto attraverso il legame con il cibo, vissuto come sostituto e desiderio di una madre disponibile, una “buona simbiosi” mai vissuta e quindi sempre cercata. Spesse volte il nucleo familiare rinforza questa dipendenza; vi sono genitori che mettono sotto chiave” il cibo rendendolo più desiderabile, o sottolineano l’importanza di stare a dieta.

Ciò può attivare la “personalità silenziosa”, dove parla il corpo nelle modalità anoressia/bulimia o nell’eccesso dell’obesità, o nelle dipendenze da “oggetti” di consumo. Così il soggetto anoressico/bulimico e quello obeso riporta sempre il pensiero al sintomo-cibo, rendendo possibile la sospensione verso il sentire. La personalità “silenziosa” o dipendente che non riconosce e non riesce ad esprimere i propri bisogni, direttamente, ma tramite i disturbi del corpo, del comportamento, e attraverso l’unidirezione “ipnotica” e simbiotica nell’eccesso televisivo o del computer e sempre più nel cibo. Sempre meno si riconosce l’importanza dell’interscambio fra persone, fra vitalità, e sempre più si privilegiano comportamenti isolati e vuoti, rinforzati da abitudini ripetitive, proprie della solitudine interiore e sociale. La mancanza di interscambio porta sempre di più a ripiegare sul cibo carenze affettive sempre più forti, fino ad innestare il costante bisogno di narcosi, di fronte alla sofferenza della solitudine e per ogni situazione frustrante della realtà

Oggi le dinamiche comportamentali del sovrappeso interessano anche bambini piccolissimi (2-3 anni): molti di essi vivono in modo assai ridotto la relazione con i genitori e le dinamiche comunicative. La relazione vitale e propositiva dell’adulto è sostituita da mezzi “passivizzanti”, quali il cibo e l’eccesso televisivo. La personalità “silenziosa” o dipendente che si sviluppa, sempre più spesso, nella società contemporanea, dove la madre lavora, partorisce sempre meno e rompe gran parte dei legami primari col figlio, il quale, abituato a convivere con baby-sitter, asili-nido e televisione, sperimenta il blocco della relazione affettiva nella unidirezione della relazione con le cose.

Nell’obesità il cibo diventa un mezzo per sedare l’ansia; esso finisce per avere una doppia valenza, appagante e distruttiva, poiché non snoda le condizioni di stress, anzi le rafforza (attraverso il senso di colpa e le attitudini sottovalutative, ovvero il “vedersi brutti e grassi”).

Sovrappeso e Obesità in età evolutiva: il gruppo di sostegno

RELAZIONE GRUPPO GENITORI.

Premessa

Secondo quanto stabilito dall’Organizzazione mondiale della sanità, l’obiettivo primario , per tutte le popolazioni, permane “il raggiungimento, , del più alto livello possibile di salute”, definita come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattie o infermità”.

In un complesso contesto socio economico debbono essere inseriti non solo i disturbi del comportamento alimentare ma anche l’obesità : a partire dalla seconda guerra mondiale si è assistito, infatti , ad un incremento sostanziale del sovrappeso nella popolazione , a partire dalle prime fasce di età , tanto da giustificare espressioni come pandemia o globesità .

A partire dai dati raccolti dal sistema di sorveglianza preposto OKkio alla Salute , presentati il 4 maggio 2017 al ministero della Salute, emerge che il 21,3% dei bambini partecipanti è in sovrappeso mentre il 9,3% risulta obeso. Riguardo la variabilità regionale si confermano prevalenze più elevate al Sud e al Centro anche se il gap, tra le Regioni, è leggermente diminuito nel corso degli anni .

Il confronto con le rilevazioni passate evidenzia un trend di lenta ma costante diminuzione per quanto riguarda la diffusione del sovrappeso e dell’obesità tra i bambini:

  • Per l’obesità si passati dal 12% del 2008/2009 al 9,3% del 2016, con una diminuzione relativa del 22,5%

  • Per il sovrappeso si è passati dal 23,2% del 2008/2009 al 21,3% del 2016, con una diminuzione relativa dell’8% (anche se si osserva un leggero aumento, non statisticamente significativo, del sovrappeso nell’ultima rilevazione rispetto a quella del 2014)

Complessivamente dunque, in meno di dieci anni l’eccesso ponderale (sovrappeso più obesità) dei bambini è diminuito del 13% (passando da 35,2% nel 2008/2009 a 30,6% nel 2016).

Tuttavia, nonostante questo andamento in calo, la rilevazione 2016 – confermando i dati precedenti – sottolinea la grande diffusione tra i bambini di abitudini alimentari poco salutari, anche se si registra un miglioramento per quanto riguarda il consumo di frutta e verdura (aumentato) e il consumo di bevande zuccherate e/o gassate (diminuito). Anche per ciò che concerne la diffusione di uno stile di vita attivo, i dati 2016 continuano a mostrare elevati valori di inattività fisica e di comportamenti sedentari. Infine, un fattore da tenere in considerazione, è che i genitori ,spesso, tendono a sottostimare lo stato ponderale dei propri figli: per esempio, nel 2016, tra le madri di bambini in sovrappeso o obesi il 37% ritiene che il proprio figlio sia sotto-normopeso e solo il 30% pensa che la quantità di cibo assunta sia eccessiva.

Nel report 2014 sulla popolazione della regione Emilia Romagna il 29%dei bambini di 8-9 anni è in eccesso ponderale (21% insovrappeso e 8% obeso); la prevalenza diminuisce nell’adolescenza:con 17% negli 11enni, il 15% nei 13enni, ed, infine, il 17% nei 15enni (HBSC 2014). Così come evidenziato , inoltre, , nei dati del sistema di sorveglianza PASSI d’Argento , la percentuale di persone adulte in eccesso ponderale risulta in lieve aumento tra i 18-34enni, costante tra i 35-49enni e in diminuzione tra i 50-69enni (andamenti non statisticamente significativi) sia di sesso maschile che femminile.

L’eccesso ponderale mostra, dunque, un incremento tra una popolazione con un basso livello socio-economico , mentre è pressoché costante tra quelle con livello medio-alto.

Il Ministero della salute, in intesa con le regioni e le provincie autonome, ha, pertanto, interpretato la prevenzione come una risorsa strategica del sistema sanitario, indicando ,nel PNL 2014-2018, tra i macro obiettivi, la promozione del benessere mentale nei bambini, adolescenti e giovani.

A livello regionale Il Piano di prevenzione 2015-2018Costruire Salute declina e condivide gli elementi del PNL 2014-2018 , diventando , di fatto, lo strumento di riferimento per tutti gli interventi e i programmi che le Aziende sanitarie sono tenute ad attivare e realizzare nei prossimi anni per tutelare e promuovere la salute delle donne, degli uomini e dei bambini.

il progetto “gruppo genitori ” dunque, ,nato all’interno del percorso ambulatoriale, si inserisce in una contesto di prevenzione e supporto al cambiamento dello stile di vita delle persone afferenti al servizio ambulatoriale presente nel reparto di Neuropsichiatria infantile, policlinico Sant’Orsola.

Il progetto gruppo genitori

La scelta di integrare i genitori nel trattamento dei figli si fonda, in prima battuta, sull’analisi dei dati anamnestici presenti nelle cartelle cliniche. A partire dalla storia personale del paziente si rintracciano come costanti la familiarità insieme ad oscillazioni ponderali a partire dai primi anni di vita , durante i quali la curva dell’adiposità AR non risultava, spesso, subire una inversione fisiologica .

L’ambiente familiare e sociale influenza la persona nelle scelte nutrizionali, nelle abitudini motorie, nello stile di vita, nelle occupazioni durante il tempo libero.

Partendo dal presupposto che difficilmente gli adolescenti aderiscono al modello terapeutico in cui i professionisti si limitano a fare una “prescrizione”(“questa è la dieta che devi osservare”), uno degli obiettivi del nostro progetto terapeutico era promuovere all’interno delle famiglie un tipo di apprendimento di tipo“osservativo” o “sociale”(modeling): molti comportamenti , infatti, non vengono appresi sulla base di esperienze personali, ma derivano dall’osservazione del comportamento di altre persone, in questo caso dei genitori e altri membri del nucleo familiare, che diventano un “modello”da imitare. L’educazione terapeutica alimentare rivolta ai genitori e al nucleo familiare, considerato nel suo insieme, si basa sul fatto che ogni membro della famiglia condiziona ed è a sua volta condizionato da tutti gli altri, dunque se cambia il comportamento alimentare e motorio dei genitori è probabile che ciò si rifletta sul comportamento dei figli.

Consultando le linee guida sui programmi sull’obesità nell’infanzia e nell’adolescenza sono consigliati trattamenti che combinino interventi comportamentali sullo stile di vita ( Cochrane Library 2009); alcuni studi qualitativi , inoltre, , fatti sui gruppi di adolescenti , hanno evidenziato quanto il lavoro sullo stile parentale influenzi la percezione di sé , dei propri problemi e la gestione delle strategie comportamentali dei ragazzi. .

L’obesità che si manifesta o si accentua durante l’adolescenza deve essere letta nella cornice della complessa evoluzione psichica di questa fase della vita. In questa fase di decostruzione-ricostruzione del sé, il rapporto con il cibo può essere investito di valenze emotive intense, difficili da governare.
L’obesità adolescenziale può essere considerata anche come uno dei possibili esiti di processi psicopatologici reattivi a una transizione evolutiva ad alto rischio per i seguenti passaggi esistenziali:

  • Le trasformazioni dell’aspetto fisico che la pubertà comporta e verso le quali il soggetto può essere impreparato

  • Il conflitto autonomia-indipendenza

  • Il processo di separazione-individuazione rispetto alle figure genitoriali

  • L’inserimento nel gruppo dei pari

  • Gli inizi della sessualità

  • La sensibilità al giudizio estetico negativo

Si è optato modalità per intervenire sulle narrazioni che descrivono e nello stesso tempo fondano lo stile parentale , sulla costituzione di un gruppo genitori, come posto sicuro in cui permettere un confronto paritetico, promotore di differenze ed apprendimento , per analogia con meccanismi che stimolino l’auto-osservazione.L’autore Yalom , a tal proposito, nella teoria e pratica della psicoterapia di gruppo individua otto fattori terapeutici: la speranza, l’universalità, l’informazione, l’altruismo, la ricapitolazione correttiva del gruppo primario familiare, sviluppo di tecniche di socializzazione, comportamento imitativo, apprendimento interpersonale, catarsi, coesione e fattori esistenziali.

Obiettivi

  • Formare i genitori ad assumere comportamenti educativi finalizzati (comprare meno, preparare cibi con meno calorie, muoversi con più piacere nel tempo libero, etc.), a sviluppare responsabilità ed equilibrio nella propria alimentazione, piuttosto che rimproverare i figli

  • Sviluppare l’autonomia della famiglia nella gestione del problema e del programma terapeutico

  • Riduzione dei sensi di colpa eccessivi e paralizzanti di genitori e figli

  • Aumentare le conoscenze sulla malattia

  • Consentire l’espressione delle difficoltà e del disagio, ma anche della soddisfazione per il raggiungimento di piccoli obiettivi da parte delle famiglie

  • Far comprendere alle famiglie che gli errori sono rimediabili, non disfatte definitive

  • Favorire le capacità comunicative tra professionista – genitore – bambino/ragazzo

Fasi e metodi

Sono state contattate telefonicamente 35 famiglie afferenti il servizio ambulatoriale ; il campione conteneva 6 soggetti della fascia 10-11 anni , 9 di 12-14 anni ; 20 adolescenti di età 15- 21.

Data la composizione articolata si era pensato inizialmente di istituire un gruppo pilota dei genitori dei piccoli pazienti” di età 10-14 anni tenendo in considerazione la fase del ciclo di vita ed i compiti evolutivi specifici ; allo stesso modo si era pensato di istituire un gruppo degli adolescenti di fascia per così dire più elevata.

Nel corso del colloquio telefonico , dopo una breve presentazione del progetto, è stato fissato un colloquio con la coppia genitoriale. L’obiettivo preposto consisteva nell’indagine della motivazione, narrazione del problema, percezione ed immagine della malattia a partire dal modello a 5 stadi di Prochaska e Di Clemente.

Questa prima mappa serviva come base da cui partire per monitorare , nei successivi incontri di gruppo, la motivazione al cambiamento, per evidenziare l’ambivalenza nella discrepanza tra comportamento attuale e mete più ampie, per supportare l’autoefficacia ed esprimere empatia ed accettazione attraverso l’ascolto riflessivo.

Nel corso del primo incontro, sono emerse, da parte dei genitori, le criticità e le abitudini disfunzionali di ciascun nucleo familiare. Avendo a che fare con figli in età adolescenziale, il processo di indipendenza dai genitori si fa rapido e spesso conflittuale; amici e i mass media, carichi di messaggi pubblicitari fuorvianti, diventano il riferimento anche per l’alimentazione e lo stile di vita (sempre più sedentario).

Vengono riportate la frequente abitudine dei ragazzi di saltare la colazione, di mangiare panini e/o fast food in sostituzione al pranzo, i ripetuti fuori-pasto alternati a digiuni prolungati, abitudini che concorrono nel favorire un minor controllo sull’appetito e sulla quantità di cibo ingerito. Per quanto riguarda i pasti, emerge una distribuzione sbilanciata nella seconda parte della giornata e il consumo di porzioni di dimensioni significativamente maggiori da parte dei figli. Emerge, inoltre, per quanto riguarda la composizione della dieta, uno scarso apporto di frutta e verdura, quindi fibra e minerali, un’elevata introduzione di grassi animali e un eccessivo consumo di bevande zuccherate e dolci.

Nel corso degli incontri sono emersi alcuni fattori, legati al microambiente familiare che potrebbero essere considerati predisponenti al sovrappeso/obesità in età infantile e adolescenziale:

  • Peso corporeo dei genitori (se obesi, il peso dei figli viene sottostimato)

  • Genitori con perdite di controllo sulla propria alimentazione (BED)

  • Genitori troppo preoccupati di poter avere un figlio con problemi legati all’obesità

  • Disturbi psicopatologici (depressione, disturbi d’ansia, disturbi di personalità, etc..)

  • Abitudini scorrette dal punto di vista dell’alimentazione e scarsa promozione di uno stile di vita attivo,

  • Stile genitoriale paterno permissivo o assente

  • Evitamento dei conflitti intrafamiliari e inibizione della manifestazione delle emozioni, soprattutto l’aggressività (salvo quella che può essere espressa attraverso la voracità alimentare). Conflitti emotivi che tendono a trasformarsi in sintomi somatici, es. mangiare per sedare emozioni (emotional eating)

  • Famiglie iperprotettive o poco flessibili nel fronteggiare i bisogni individuali di cambiamento

  • Pregressa difficoltà della madre a riconoscere i segnali emessi dal bambino durante gli stati del bisogno, questo incide negativamente sullo sviluppo delle capacità di autoregolazione

  • Abitudini alimentari della famiglia e tradizioni gastronomiche che modellano le preferenze dei figli: ad es. l’uso frequente di cibi ricchi di grassi e dolci che provocano nel bambino una stabile preferenza per cibi ad alta densità energetica

Tendenzialmente le persone in sovrappeso/obese, o che presentano un disturbo da alimentazione incontrollata, non sentono le emozioni, o meglio le sentono, ma non le codificano. Nella mia esperienza clinica ho potuto spesso riscontrare che le persone affette da BED, in maniera quasi automatica, associano all’attivazione emotiva, di solito rabbia o ansia, le abbuffate. Probabilmente perché avvertono questi vissuti emotivi come troppo intensi, difficili da integrare nell’esperienza quotidiana. In questi casi l’abbuffata diventa un buon alleato per interrompere lo stato di eccessiva attivazione, avendo l’organismo la priorità di digerire il cibo e, dunque, di investire tutte le sue energie su tale attività. L‘introduzione massiva di cibo nello stomaco induce uno stato di calma, rilassatezza e di ridotta elaborazione cognitiva. Le abbuffate potrebbero avere, in questi casi, la funzione di “modulatore” emotivo. Per questo motivo, secondo il metodo biosistemico, ho ritenuto importante lavorare sulla ri-alfabetizzazione emotiva, con la finalità di aiutare i genitori a sviluppare una maggior consapevolezza dei propri stati emotivi e una maggior capacità di sostituire all’agito impulsivo un più funzionale pensiero riflessivo.

L’obiettivo di questo tipo di intervento è stato, dunque, stimolare i genitori a riconoscere, a nominare le proprie emozioni per promuovere questo “nuovo linguaggio” anche a livello intrafamiliare, per stimolare, inoltre, un tipo di ascolto più profondo verso i bisogni e verso gli stati emotivi dei figli.

A questo proposito è stato utile lo strumento della “parola chiave”, ovvero chiedere ai genitori all’inizio e alla fine di ogni incontro una parola, un’emozione, un’immagine che esprimesse lo stato d’essere attuale. Già al terzo incontro le parole usate per parlare di sé sono state più inerenti a stati emozionali piuttosto che fisici.

Questo ha inoltre favorito la condivisione tra persone nel gruppo e nella famiglia così come riportato dai membri stessi.

Sessioni di Lavoro

Le sessioni di sono state pensate secondo due blocchi distinti che, in realtà, nel corso degli incontri , hanno subito una integrazione sostanziale e costante e continua.

1° sessione di Psicoeducazione

  • Breve accenno sul metabolismo basale, dispendio energetico, peso ideale differente nelle varie fasce di età.

  • Piramide alimentare ( sono state fornite brochure della società italiana di pediatria, guadagnare salute , sia per la scuola sia per i posti di lavoro)

  • Fattori di rischio e patologie obesità- correlate

  • la gestione dei pasti e le porzioni

  • Correlati neurofisilogici delle emozioni ed interazioni con l’eating

  • I centri del piacere ed i circuiti della ricompensa

  • Linee guida per l’offerta di alimenti e bevande salutari nelle scuole” dpr n 418 del 2012

  • I benefici dell’attività fisica, aumento del dispendio energetico con l’attività fisica: considerazioni sul dispendio energetico di alcune attività

  • normativa eurpoea circa l’utilizzo del bisfenolo

  • Informazioni relative alle etichette nutrizionali per valutare il contenuto nutrizionale dei cibi.

2° sessione di lavoro terapeutico

  • Lo stigma dell’obesità ( episodi di bullismo , derisione ed isolamento sociale)

  • Il problema dell’immagine corporea nell’adolescenza

  • La perdita di controllo : la semantica del potere , i significati di costrutto vincente/perdente, tematica volontà controllo , iniziativa vs passività , arrendevolezza, lasciar cadere le cose

  • Le dinamiche familiari e le relazioni

  • La distanza percepita dai genitori rispetto ai figli e il concetto di “giusta” distanza,

  • L’importanza di responsabilizzare i figli in merito alla propria condotta alimentare e alla propria salute psicofisica

  • Il significato dello “stare a tavola” come momento di condivisione tra i membri della famiglia

Nella fase centrale del lavoro terapeutico in cui si è assistito ad un maggior coinvolgimento dei membri è stato possibile rendere più consapevoli gli aspetti di cui sopra elencati a partire dall’utilizzo di due metodologie : la parola chiave di matrice teorica biosistemica ed il test della doppia luna di matrice teorica sistemica. Ciò ha permesso di individuare e di lavorare su aspetti del sistema familiare legati alla con-fusione intergenerazionale, su tematiche come accadimento ed responsabilità genitoriale, difficoltà nella gestione di conflitti e della notevole fragilità emotiva espressa.

Sono emersi, durante gli incontri, i benefici della dimensione gruppale, perché essa ha fornito uno spazio comune fondamentale per le persone che presentano problematiche simili, ( nel nostro caso genitori preoccupati che non sanno come relazionarsi con i propri figli in merito al problema alimentare). Lo spazio che abbiamo dedicato a loro è stato utile per confrontarsi , all’interno del quale poter esprimere le proprie emozioni senza vergognarsi o sentirsi in colpa.

Criticità

  • Hanno aderito al programma soltanto 6 famiglie di cui un abbandono per problemi familiari durante la fase centrale del percorso.

  • Assenza delle figure paterne agli incontri ( in letteratura questo filone appare rimasto poco battuto pur se in un articolo del 1982 di Coates apparso su international Journal of Eating Didorders se ne sottolinea la necessità del coinvolgimento

  • La presenza di disturbi psichiatrici in due utenti adolescenti che segnala la necessità di soffermarsi sulla gestione della comorbiltà annessa alle problematiche dell’obesità

  • Per motivi di tempo non è stato possibile utilizzare ,nelle ultime sedute, la tecnica del collage che avrebbe potuto ulteriormente favorire un lavoro sui significati dell’idea di benessere all’interno della famiglia , ricostruendo un nesso tra il registro pre .verbale e non verbale.

  • Necessità di una supervisione degli operatori con particolare attenzione al carico emotivo delle sedute

Gli incontri di gruppo hanno avuto luogo presso l’auletta Fanep , padiglione 13 Policlinico Sant’Orsola, secondo una scansione quindicennale, e sono stati condotti dalla Dott.ssa Floriana Menga , psicoterapeuta sistemico relazionale e dalla Dott.ssa Chiara Zanetti psicoterapeuta biosistemica.

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  • Yalom (1997) Teoria e pratica della psicoterapia di gruppo , edizioni Bollati

Sono Chiara Zanetti, Psicologa-Psicoterapeuta ad orientamento corporeo sul territorio di Bologna. I miei interventi sono di psicoterapia individuale e couseling psicologico rivolti ad adulti e adolescenti, terapia di coppia e di gruppo, di sostegno per le famiglie nella prevenzione e cura del sovrappeso/obesità in età evolutiva. Svolgo attività di volontariato presso l’ospedale S.Orsola Malpighi – Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile – centro a valenza regionale per i disturbi del comportamento alimentare in età evolutiva (Direttore Prof. E. Franzoni). Ho attivato, inoltre, uno sportello gratuito di ascolto e supporto rivolto a chi soffre di problematiche legate al cibo, in collaborazione con i medici di base, presso un poliambulatorio in centro a Bologna. Le altre aree di intervento di cui mi occupo sono i disturbi relazionali, i disturbi d’ansia, gli attacchi di panico, lo stress lavoro correlato o stress familiare, situazioni traumatiche, depressione, dipendenza da sostanze stupefacenti, alcol, internet e cibo.
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