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I PROBLEMI DELL’ADOLESCENZA

Per “adolescenza” si intende quel periodo della vita che va dai 12 ai 22 anni circa, e che vede l’individuo impegnato ad affrontare una serie di cambiamenti che interessano il suo sviluppo fisiologico, morfologico, sessuale, cognitivo e infine sociale. Tutte queste trasformazioni, profondamente interrelate fra loro, portano il soggetto a modificare l’immagine che ha di se stesso e a confrontarsi continuamente con l’immagine che gli altri hanno di sé. In questo periodo di vita esistono enormi differenze interindividuali nel modo di affrontare i compiti di sviluppo, sia in termini di strategie comportamentali adottate, sia in termini di vissuti interiori.

Nella prospettiva delle differenze interindividuali si collocano le concezioni relative ai fattori di rischio e di protezione in età adolescenziale. I rischi possono essere legati alla disponibilità sia di risorse intrapersonali dell’adolescente (personalità e temperamento), sia di risorse interpersonali (legate alla sua storia personale, familiare e sociale). Sono stati individuati fattori definiti “protettivi” che impediscono ai fattori di rischio di svolgere la loro funzione negativa ai fini dello sviluppo: sono i fattori individuali che comprendono la stima di sé, il locus of control e il costrutto di self-efficacy,  i fattori familiari (coesione familiare, supporto familiare, comunicazione genitori-figli, modalità adattive di risoluzione del conflitto) e i fattori socio-ambientali (coinvolgimento con adulti significativi, ampia rete sociale e lavorativa).

Un concetto spesso utilizzato nelle varie definizioni di “adolescenza” è quello di transizione, di passaggio: il compito evolutivo principale dell’adolescenza è l’acquisizione da parte dell’individuo di una identità autonoma. Il processo di acquisizione dell’identità non si risolve con la scelta di un ruolo anziché di un altro, o di una identificazione rispetto a un’altra; comporta invece un’operazione di scelta e l’elaborazione di una sintesi originale tra le diverse parti di sé che l’adolescente ha riconosciuto identificandosi con gli altri. Negli anni dell’adolescenza viene così a costruirsi una rete di molteplici relazioni che risponde al bisogno di autonomia dell’adolescente. All’interno di queste relazioni l’adolescente ha l’opportunità di identificarsi, e di riconoscere parti di altri come interessanti per sé. Il processo di acquisizione dell’identità non si risolve con la scelta di un ruolo anziché di un altro, o di una identificazione rispetto a un’altra; comporta invece un’operazione di scelta e l’elaborazione di una sintesi originale tra le diverse parti di sé che l’adolescente ha riconosciuto identificandosi con gli altri. Il percorso che abbiamo delineato è emotivamente faticoso per l’adolescente, poiché, come ogni processo di scelta, comporta l’elaborazione di una perdita, la rinuncia ad alcuni sé possibili, una definizione della propria personalità e quindi anche l’assunzione di fronte a se stesso e agli altri delle proprie idee, valori e azioni. Un contributo fondamentale viene dagli studi di Marcia (1966; 1980). L’autore individua quattro stati nello sviluppo dell’identità. Si trovano nello stato dell’identità acquisita coloro che hanno operato una scelta dopo aver sondato, attraverso la sperimentazione, diverse alternative possibili. Diversamente, gli adolescenti che si trovano nello stato definito moratorium sono ancora nella fase della sperimentazione, non hanno ancora elaborato una scelta, sebbene sia presente in essi una continua riflessione sulle diverse alternative e quindi una tensione alla scelta. Particolarmente interessante è lo stato definito blocco dell’identità, caratteristico di quegli adolescenti che sono arrivati a elaborare delle scelte in vari ambiti della loro vita e ad assumersi gli impegni conseguenti evitando di esplorare le varie alternative possibili; in genere questo stato prende la forma di un’adesione acritica ai primi modelli identificatori, vale a dire i genitori. Infine Marcia individua un quarto stato, denominato diffusione dell’identità, proprio di coloro che mettono in atto molteplici comportamenti esplorativi piuttosto superficiali, non accompagnati da alcuna riflessione e soprattutto non finalizzati a una scelta e a un impegno futuri.

Uno dei principali compiti di sviluppo riguarda l’integrazione da parte dell’adolescente dei cambiamenti corporei che si caratterizzano per essere repentini, massicci e “vistosi”. In particolare, la sfida che attende i ragazzi è quella della costruzione di un’immagine corporea, risultato dell’integrazione di rappresentazioni, pensieri, simbolizzazioni e affetti relativi al proprio corpo attuale a partire dal corpo che si era. Un segno evidente delle enormi energie implicate in questo processo è l’attenzione che gli adolescenti rivolgono alla dimensione corporea, in modo evidente o velato da un apparente disinteresse. Se l’adolescente non riesce in questo sforzo di integrare mentalmente i cambiamenti, le conseguenze sono gravi, come testimoniano le forme di sofferenza psichica che si esprimono nelle forme di attacchi alla propria corporeità, come le condotte autolesive e i disturbi della condotta alimentare.


I cambiamenti che vive l’adolescente non lasciano immutato il contesto familiare, la conflittualità interna che egli sperimenta tra i bisogni di autonomia e di protezione si esprime all’interno della famiglia attraverso varie forme di comunicazione verbale (silenzi, aumento dei conflitti, provocazioni e aggressività verbale) e non verbale (modo di vestire, di atteggiarsi, rapporto con il cibo, modalità di gestire gli spazi personali) . A livello di rapporti interpersonali vi è l’esigenza, più o meno accolta da parte dei singoli membri della famiglia, di una rinegoziazione reciproca delle distanze interpersonali. Tale rinegoziazione presuppone un ruolo attivo non solo dell’adolescente ma di tutti i componenti del sistema. Un equilibrio tra livelli moderati di coesione ( bisogni di dipendenza, protezione e appartenenza) e livelli moderati di individualità (bisogni di autonomia e di differenziazione), consente alle relazioni familiari di trasformarsi e di conseguenza ai soggetti adolescenti di rendersi autonomi pur mantenendo un senso di appartenenza. Le condizioni di rischio adolescenziale sono connesse invece a contesti familiari che si situano in posizioni estreme, vale a dire le famiglie definite invischianti (nelle quali sono fortissimi i legami di dipendenza, tutti la pensano allo stesso modo e non viene accettata la differenza), e le famiglie disimpegnate (nelle quali non c’è senso di appartenenza, i membri sono completamente indipendenti e hanno poca possibilità di influenza l’uno sull’altro).

Il conflitto con i genitori, in adolescenza, può avere un significato altamente positivo, sia rispetto a una dimensione di sviluppo individuale sia rispetto a una dimensione relazionale. Le esperienze di conflitto diventano per l’adolescente un’occasione per conoscere meglio se stesso, per confrontarsi con le idee dei genitori e per definirsi ai loro occhi. Dall’altra parte, come è reso evidente dalle ricerche condotte in ambito clinico, le relazioni familiari prive di conflitto apparente possono essere indice di una conflittualità molto forte che rimane inespressa perché il contesto non consente l’emergere di posizioni differenti, e quindi a lungo andare questo tipo di evitamento del conflitto finisce per ostacolare il processo di individuazione dell’adolescente.

A differenza della famiglia “del passato”, fondata sull’autoritarismo, nella quale il padre era vissuto prevalentemente come il detentore delle regole e come il mediatore sociale, mentre al ruolo materno spettava la dimensione del prendersi cura e degli affetti, la famiglia di oggi appare caratterizzata da una centratura sul mondo interno, sulla comprensione dei figli, dei loro disagi.  Questa trasformazione della famiglia agisce profondamente sulle modalità di gestione della separazione nel periodo adolescenziale, sia da parte dei genitori sia degli adolescenti stessi: il conflitto si attenua enormemente e le figure genitoriali tendono a proteggere sempre più il figlio dal dolore mentale e dalle ferite narcisistiche (sconfitte, delusioni, frustrazioni, rabbie, perdite), noia e tristezza hanno sostituito rabbia e senso di colpa, il ragazzo non sente apparentemente il bisogno di separarsi dai genitori e di ridefinirsi rispetto a essi. Emerge, dunque, l’esigenza di ridefinire la funzione paterna, evitando di ridurla semplicisticamente a una fotocopia della funzione materna, declinandola, piuttosto, nella responsabilizzazione e quindi nella valorizzazione del merito, dell’apprendimento, dell’autonomia e della separazione.

Infine, l’adolescenza dei figli è un’occasione per entrambi i coniugi per ridefinirsi in quanto coppia sessuata e non solo come coppia genitoriale. Appare quindi evidente che, come il figlio adolescente, anche i genitori hanno di fronte a sé dei compiti di sviluppo da affrontare.

Sono Chiara Zanetti, Psicologa-Psicoterapeuta ad orientamento corporeo sul territorio di Bologna. I miei interventi sono di psicoterapia individuale e couseling psicologico rivolti ad adulti e adolescenti, terapia di coppia e di gruppo, di sostegno per le famiglie nella prevenzione e cura del sovrappeso/obesità in età evolutiva. Svolgo attività di volontariato presso l’ospedale S.Orsola Malpighi – Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile – centro a valenza regionale per i disturbi del comportamento alimentare in età evolutiva (Direttore Prof. E. Franzoni). Ho attivato, inoltre, uno sportello gratuito di ascolto e supporto rivolto a chi soffre di problematiche legate al cibo, in collaborazione con i medici di base, presso un poliambulatorio in centro a Bologna. Le altre aree di intervento di cui mi occupo sono i disturbi relazionali, i disturbi d’ansia, gli attacchi di panico, lo stress lavoro correlato o stress familiare, situazioni traumatiche, depressione, dipendenza da sostanze stupefacenti, alcol, internet e cibo.
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