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Dismorfofobia: vedersi brutti può diventare una malattia?

A volte vedersi brutti può diventare una malattia. Non si tratta di una temporanea insoddisfazione per il proprio aspetto, ma di una vera e propria ossessione che può compromettere i rapporti sociali e portare all’isolamento.  Non colpisce chi deve davvero fare i conti con deformità o problemi estetici gravi. Che oggi molti psichiatri definiscono .

La dismorfofobia, definita anche come “disturbo da dismorfismo corporeo” non è una patologia a se stante, ma può essree correlata ad altri disturbi, come la depressione o il disturbo ossessivo compulsivo. Si può definire come una forma di ossessione che riguarda l’aspetto fisico, o meglio un qualche suo tratto su cui si concentrano le preoccupazioni del paziente. Non si tratta di prestare attenzione al proprio corpo, ma di una vera e propria ossessione che occupa gran parte del tempo, creando angoscia e interferendo con le normali attività, il lavoro e la vita sociale.

Questo disturbo colpisce allo stesso modo sia uomini sia donne e spesso compare durante l’adolescenza, una fase della vita in cui il corpo si trasforma in modo radicale: il problema è che se non s’interviene tempestivamente, tende a durare a lungo, a volte per tutta la vita. Secondo le statistiche, a soffrirne sarebbe circa il 12% delle persone che richiede un intervento psicoterapeutico. Questo dato non rispecchia la realtà perchè molte persone provano vergogna a parlarne e invece di affrontare il problema in terapia tendono a rivolgersi semmai ai chirurghi estetici, che, nella maggioranza dei casi, fanno fatica a identificare chi, tra quanti si rivolgono a loro, soffre del disturbo. E quindi è destinato a essere insoddisfatto dei risultati ottenuti .

Chi soffre di dismorfofobia proietta sulla realtà del corpo un “difetto” che riguarda la psiche, ha difficoltà ad entrare in contatto con se stesso, a vedersi, e quindi cerca all’esterno un’immagine di sé ispirandosi spesso a un modello ideale,  un’attrice o un personaggio famoso di cui spera di ottenere le caratteristiche fisiche grazie a una specie di copia e incolla chirurgico. Le preoccupazioni dei malati tendono a concentrarsi sul volto e sulla pelle, due parti del corpo particolarmente importanti nei primi anni di vita, i punti di contatto alla base delle prime relazioni con l’altro,  infatti le radici della dismorfofobia stanno proprio nella relazione del bambino con la madre, o con chi si occupa di lui. Anche se il disturbo può rimanere a lungo silente, può riemergere, nella vita adulta, in situazioni di forte stress emotivo.

Si tratta di un’esperienza soggettiva, in cui le pressioni di una società ossessionata dall’aspetto contano poco. Il disturbo sembra manifestare la perdita di contatto con la propria realtà psichica, che porta a fissarsi su quella fisica. La società può contribuire a plasmare la forma del disturbo, ma non ne è la matrice.

Spesso però il problema passa inosservato, e non solo perché la vergogna spinge i pazienti a nascondere le proprie angosce. Alcuni comportamenti rituali poi, come la tendenza a evitare gli specchi o in alternativa a controllarsi ossessivamente, si manifestano solo in una fase avanzata del disturbo. Un campanello di allarme può essere semmai la tendenza a isolarsi ed evitare i rapporti sociali, soprattutto in età infantile e adolescenziale. In questa fase intervenire è importante, perché la dismorfofobia si può curare, soprattutto con la psicoterapia, l’unica in grado di risolvere veramente il problema.

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